Il passaggio all'età adulta
Siamo eterni bambini che anche in età adulta od avanzata necessitano di momenti di affetto e di svago, di amore e di gioco; ma siamo anche adulti con impegni, lavoro, obblighi e responsabilità.
Percepiamo la crescita come un processo naturale e quasi come un qualcosa che "viene da sé", ma in realtà ci sono dei momenti specifici nella vita di ognuno che ci aiutano a passare ad una nuova fase più matura fornendoci obiettivi e la motivazione necessaria a raggiungerli. Inoltre, a prescindere dai percorsi personali siamo tutti imbrigliati in una società con delle regole e delle usanze utili nella scansione dei periodi di vita tipici del contesto sociale in cui viviamo.
Ci danno da pensare domande come: "Cosa fanno i nostri amici dopo i 18 anni? Cosa fanno a 30 anni? Cos'hanno ottenuto? Cos'ho ottenuto invece io?"
Sin dalla tenera età viviamo immersi in una dimensione di confronto continua in cui c'è l'"altro" e poi "ci sono io". La distanza tra questi poli rappresenta il "buco" che continuamente cerchiamo di "rattoppare", ma anche la distanza vitale che ci consente di essere noi stessi e di trovare il nostro spazio al mondo distinguendoci dagli altri. Trovare un equilibrio tra il bisogno di vicinanza e di distacco è un processo lungo sulla quale ci si interroga per tutta la vita. Tuttavia, nonostante persista un certo grado di "dipendenza" da altri significativi ad un certo punto della vita dobbiamo divenire "indipendenti" e prenderci cura di noi stessi e alle volte anche di altri. E' il momento in cui troviamo una strada che ci porta al di fuori del nucleo familiare e la perseguiamo.
Quand'è che diventiamo indipendenti?
Oggi più che mai possiamo dire che non esiste un'età specifica in cui si diventa indipendenti e che ognuno ha una sua strada, una sua storia ed i suoi tempi. Questo aspetto è fortemente legato alle situazioni culturali ed economiche che fanno parte del nostro contesto sociale. Ad esempio potremo affermare che rispetto ad altri periodi storici trovare un lavoro che permetta di mantenersi economicamente e di trovare un'abitazione personale in cui crescere una famiglia, è sicuramente più difficile per un ventenne di oggi di quanto lo era per un ventenne degli anni '60. Inoltre, l'ottenimento di certi lavori è legato al possesso di determinati titoli accademici (il cui conseguimento ha un costo economico e di tempo) che portano i giovani a diventare sempre meno giovani prima di spiccare il volo e di lasciare il nido. Altri invece, per un motivo o per un altro, riescono a raggiungere certi traguardi coerentemente con gli standard appartenenti ad una "generazione fa", creando importanti gap di confronto che sono difficili da colmare. Diviene così molto più facile sostenere pensieri legati ad un "locus of control esterno" (per la quale gli eventi sono determinati da fattori indipendenti al nostro controllo) piuttosto che "reggere la colpa" del non essere ancora "arrivati a destinazione".
Gli standard sono cambiati
Se da un lato gli standard odierni aiutano i ragazzi a vivere meglio il confronto con le vecchie generazioni che alla loro stessa età "avevano già fatto tutto", dall'altro li demotiva e gli può far pensare che "non dipende da loro", "che non vale la pena impegnarsi" o che non serva "smuoversi". Questa demoralizzazione è in netto contrasto con l'ottenimento di obiettivi e motivazione sufficienti a raggiungere l'adultità e l'assunzione di rischi e responsabilità comportati.
Arriviamo dunque a chiederci come può avvenire tale passaggio se non vi sono i prerequisiti mentali (convinzione e dedizione) e sociali (confronto stimolante e non demotivante). Rafforzare l'autostima dei ragazzi e la loro convinzione di "potercela fare" diviene un lavoro importante non solo per le famiglie, ma anche per i servizi a cui spesso accedono per motivi d'ansia e/o depressione. Tuttavia credo fortemente che l'adultità sia legata all'assunzione di un ruolo e di uno spazio all'interno di una società e che da quest'ultima dipenda fortemente.
Il ruolo della società
C'è bisogno che la società faccia spazio ai giovani e che gli consenta di entrare a farne parte a pieno regime, ma soprattutto c'è bisogno che li faccia sentire validi e riconosciuti in quanto adulti capaci ed indipendenti. Solitamente all'interno delle società questi passaggi vengono supportati attraverso riti di passaggio per cui, se in una remota popolazione sconfiggere una creatura e dimostrare così d'essere capace di difendere la tribù comporta rispetto e l'ottenimento di un certo status sociale; anche nella nostra società "passare l'esame di maturità", ad esempio, dovrebbe conferire "un qualche cosa" che renda il processo significativo per chi lo compie. Nella realtà il diploma conferisce molto poco e la vera adultità non viene guadagnata contestualmente al suo ottenimento, ma giunge attraverso il mero raggiungimento dei "18" anni. Da questo momento "siamo tutti uguali di fronte alla legge" e tutti "egualmente validi", ma in pratica non cambia poi molto per quel che riguarda la dimensione del "chi sono": il neo diciottenne non è un cacciatore e neanche un abile studioso, ma solo uno dei tanti che ha spento 18 candeline su di una torta. E come lo considerano la società e la famiglia da quel momento in poi? Come un bambino imputabile, che deve stare attento a quel che dice e che fa e che non deve "volare troppo in alto" desiderando cose che non può ottenere: se vuole studiare dovrà avere i soldi per farlo e se vuole lavorare dovrà predisporsi ad accettare condizioni ingiuste. L'adultità in cui poter far valere la propria voce e avere un ruolo è quindi rimandata a data da destinarsi: pur scegliendo una strada e volendo percorrerla fino alla fine infatti, non si sa quanto tempo richieda il tragitto, se non frani nel frattempo e nemmeno dove porti.
Con questi presupposti l'unica domanda che rimane da farci è: perché dovremmo voler divenire adulti?
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